Il Dark Web è il volto nero della digitalizzazione, l’altra faccia di un processo considerato non più una scelta, ma una condizione di sopravvivenza in un mercato globale sempre più competitivo. Sul Dark Web è possibile comprare droga, documenti falsi e persino armi, come un Glock 19 a soli 250 euro, chiaramente pagabili in bitcoin, così che sia ancora più difficile poter essere rintracciati.
Sul Dark Web, in quattro semplici mosse e
senza una particolare conoscenza tecnica, si possono addirittura acquistare dei
“ransomware”, una tipologia particolare di malware che permette di prendere in
ostaggio i dispositivi per poi chiedere un riscatto per il loro “sblocco”. Non
parliamo solo di telefoni, ma di servizi essenziali, di ospedali e di
infrastrutture critiche. Come evitarlo? Con un approccio sistemico che combini
tecnologia e cultura delle sicurezza, che abbia al centro l’individuo, spesso
la parte debole dei meccanismi di difesa.
Lo hanno spiegato gli esperti di Cse
CybSec, società italiana di consulenza in cyber-security che, nata lo scorso
anno, punta a diventare player di riferimento in Italia e all’estero.
COME
FUNZIONA IL DARKWEB
“Per Dark Web si intende l’insieme delle risorse e dei
contenuti che consentono di mascherare l’indirizzo IP; è come guidare una
macchina con numeri di targa nascosti o profondamente diversi da quelli a cui
siamo abituati”, ha spiegato l’esperto Pierluigi Paganini, chief technology
officer di CybSec. “Ciò che fa la differenza rispetto all’Open Web è la
condizione di pseudo anonimato, una possibilità può essere usata per fini
positivi o malevoli”, ha aggiunto. Certo, il secondo caso è decisamente più
frequente, anche perché il business del cyber-crime sembra essere
particolarmente remunerativo. “Le principali darknet (le reti utilizzate nel
Dark Web, ndr) sono diventate un punto di accentramento per le reti criminali,
che si presentano come sindacati strutturati, a cui si affiancano agenzie di
intelligence, attivisti, terroristi o semplici appassionati”, ha rimarcato
Paganini. La ragione di ciò è da rintracciare proprio nella possibilità di
nascondere la propria identità, rendendo difficile il tracciamento,
l’attribuzione e dunque il contrasto da parte delle forze di polizia.
DAL BLACK
MARKET AL RANSOMWARE AL DETTAGLIO
Il cuore del Dark Web sembra però essere il
Black Market: “L’eBay del crimine”, lo ha definito Paganini. Da pochi dollari
per un malware fino ai 50 dollari per un più sofisticato ransomware. Dai
passaporti a poche decine di euro fino ai 250 euro per una pistola (anche se le
armi stanno scomparendo dai siti considerati più “affidabili” perché spesso
nascondo una truffa, difficile da denunciare a qualsiasi autorità). La modalità
è molto semplice: si naviga grazie a browser in cui si può nascondere
l’indirizzo IP (i più diffusi sono Thor e I2P) e si accede a siti che
funzionano proprio come le classiche piattaforme di e-commerce, con
registrazioni, feedback degli utenti e categorie di prodotti. Solo che al posto
di “abbigliamento sportivo / elettronica / lampadari”, ci sono “truffe /
documenti falsi / drugs”.
Ancora più preoccupante è però il fenomeno del
ransomware as-a-service (su cui CybSec ha elaborato uno studio confluito poi in
un report). Si tratta della possibilità, anche per chi non è un esperto
cyber-criminale, di scaricare programmi con cui ricattare le cyber-vittime.
Basta fornire un indirizzo bitcoin e indicare l’ammount del riscatto. È poi la
piattaforma a occuparsi di inoculare il malware in programmi da inviare ai
malcapitati, ad esempio tramite l’ormai nota pratica delle spear phishing. Il
fenomeno è davvero preoccupante, anche perché apre uno scenario inquietante di
legame tra il tradizionale mondo criminale e il cyber-crime. Il primo, ha
spiegato ancora Paganini, sembra aver deciso di investire nel secondo in virtù
della sua grande rimuneratività. A fronte di costi piuttosto bassi, si possono
fare grandi ricavi.
LA QUESTIONE GEOPOLITICA
La stessa logica vale anche nel
confronto tra Stati, in una scena internazionale che intanto pare sempre più
complicata. Un piccolo attore spregiudicato può provocare enormi danni anche ai
Paesi meglio equipaggiati. Ciò preoccupa poiché “viviamo da diversi anni in un
quadro di crescita delle tensioni, di conflittualità latenti, nascoste, e in alcuni
casi molto appariscenti”, ha ricordato l’ambasciatore Giulio Terzi di
Sant’Agata, co-fondatore e presidente di CybSec. In questo contesto, l’Europa
si appresta a “una rivoluzione” sul fronte della sicurezza informatica, ha
ricordato. Tra l’ormai imminente entrata in vigore del regolamento Gdpr e il
recepimento della direttiva Nis, il Vecchio continente procede spedito.
Il
rischio è che “l’Italia corra a una velocità diversa”. Il punto, ha detto
l’ambasciatore, “è l’attuazione della direttiva Nis, un percorso che in questa
fase politica sembra rimanere fermo, inattuato e inattuabile fino alla
definizione del nuovo governo (che dovrà occuparsi del dpcm per il recepimento,
ndr) con tutti i passaggi che ne seguiranno”. La questione è rilevante, e
riguarda il collocamento complessivo del Paese nel campo della sicurezza
informatica, una collocazione essenziale per poter “trasmettere consapevolezza
dei rischi” all’ecosistema delle aziende italiane.
E QUELLA CULTURALE
Oltre alla tecnologia, infatti, la questione è culturale. Come ricorda CybSec,
il 36% dei data breach (cioè le violazioni di sicurezza) avvengono per
negligenza o inadeguata formazione dei dipendenti. Un problema che sembra
riguardare soprattutto le piccole e medie imprese, bersaglio appetibile per i
cyber-criminali rispetto a grandi aziende che rivolgono generalmente una
maggiore attenzione alla sicurezza informatica.
(Fonte: Cyber Affairs)